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Milleluci per la Cultura - Proiezione PROMESSE

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Circolo Togliatti-Subaugusta
Pd Roma - VII Municipio
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Milleluci per la Cultura - Proiezione PROMESSE

Pd Togliatti Subaugusta
Pubblicato da Redazione in Cultura · Lunedì 07 Apr 2025 · Tempo di lettura 6:45
Tags: MilleluciperlaculturaPromesseDocumentarioIsraelePalestina
Sabato 12 aprile 2025, dalle ore 10:00 alle 13:00, il Circolo ospita la proiezione del documentario Promesse (2001), un'opera intensa e profondamente toccante che racconta, con uno sguardo intimo e universale, le vite di sette bambini israeliani e palestinesi cresciuti nella Gerusalemme del conflitto.

L’iniziativa si svolge nell’ambito del programma “Milleluci per la cultura” promosso dalla Federazione Romana del Partito Democratico. Il nostro Circolo ha scelto di proporre la visione collettiva di un film che riteniamo necessario oggi più che mai: Promesse (2001), documentario candidato all’Oscar e vincitore di numerosi premi internazionali.
Abbiamo scelto questo film non solo per il suo valore artistico, ma per il suo contenuto profondamente umano e politico. Promesse è un ritratto straziante, intimo e autentico di sette bambini – israeliani e palestinesi – che vivono a pochi minuti l’uno dall’altro, ma in mondi completamente separati. Attraverso i loro occhi, le loro parole, i loro gesti, vediamo tutta la complessità, la violenza e il dolore del conflitto in Medio Oriente. Ma soprattutto vediamo ciò che raramente viene mostrato: l’infanzia sotto assedio, l’innocenza che viene sacrificata.
Moishe, un bambino di 10 anni, sogna di diventare Primo Ministro d’Israele per “mandare via tutti gli arabi da Gerusalemme”. Non ha mai incontrato un palestinese, eppure è cresciuto nella colonia di Beit-El, “dove vivono persone che odiano gli arabi”. Dall’altra parte, nel quartiere musulmano della Città Vecchia, Mahmoud, biondo e dagli occhi azzurri, prega ogni giorno per la fine dell’occupazione israeliana. Dice con decisione che “più ebrei uccidiamo, meno ce ne saranno”. Nessuno dei due parla la lingua dell’altro. Ma i loro discorsi, duri, simili, speculari, si fondono in un’unica, tragica eco.
Il documentario di B.Z. Goldberg, Justine Shapiro e Carlos Bolado rompe il silenzio attorno alle voci dei più giovani. In genere, nei telegiornali, i bambini sono immagini simboliche – bare minuscole, occhi spalancati sul terrore – ma raramente vengono ascoltati. Promesse cambia prospettiva. I registi, tra il 1997 e il 2000, hanno seguito questi bambini, li hanno conosciuti, hanno guadagnato la loro fiducia. Hanno dato spazio al loro racconto, senza filtri, senza retorica, ma con uno sguardo rispettoso e partecipe.
Nel campo profughi di Deheishe l’incontro con Sanabel, una ragazza palestinese la cui padre è incarcerato da due anni senza processo. Sanabel partecipa alle proteste e danza danze tradizionali palestinesi. C’è Faraj, rifugiato anche lui, che corre per sfuggire all’angoscia, e che viene accompagnato – in una scena commovente – a vedere la terra da cui la sua famiglia fuggì nel 1948.
Dall’altra parte della città, i gemelli Yarko e Daniel, di famiglia ebraica laica, dubitano dell’esistenza di Dio, ma pregano al Muro del Pianto per vincere una partita di pallavolo. Amano lo sport, la scuola, ma sullo scuolabus temono gli attentati. Shlomo, figlio di un rabbino ortodosso americano, dice che Gerusalemme è il posto più sicuro, perché è città santa per ebrei e musulmani.



Questi bambini vivono vicinissimi, ma non si conoscono. Vivono realtà parallele. Eppure, qualcosa accade. Goldberg, che nel film assume il ruolo di mediatore e confidente, riesce a far incontrare mondi che sembravano inconciliabili. Mostra una foto di Faraj ai gemelli, e loro vogliono conoscerlo. L’incontro avviene. Faraj si prepara davanti allo specchio, si sistema i capelli, indossa la camicia migliore. E per un istante, il film respira speranza. Ma il dolore ritorna: Faraj piange, sapendo che i nuovi amici presto partiranno.
Il film termina due anni dopo. La speranza si è affievolita. Faraj è spento. I checkpoint impediscono a Yarko e Daniel di tornare a Deheishe. Le divisioni restano. Ma ciò che Promesse ci consegna è un archivio vivente di emozioni, paure, sogni. Un documento che rifiuta di banalizzare il conflitto, e ci chiede di ascoltare.
Perché la cultura è anche questo: costruire spazi di empatia, abbattere i muri invisibili, denunciare ciò che ci disumanizza.
Il film è anche pieno di momenti ironici e divertenti. I bambini, con la loro spontaneità, ci regalano attimi di umorismo inaspettato. Come nella scena della “gara di rutti” tra Shlomo e un ragazzo palestinese. Una metafora vivace della vacuità della retorica politica di entrambe le parti? Forse. Ma soprattutto, un momento di vita autentica.
Goldberg e Shapiro, due registi ebrei, con pochi mezzi e tanta determinazione, sono riusciti a realizzare un film commovente. Lo hanno fatto con umiltà, senza nascondere le difficoltà, senza farsi intimidire dalle critiche. In un tempo in cui anche il solo parlare di pace è un gesto politico, Promesse è stato un atto di coraggio.
Come circolo Pd Togliatti Subaugusta, abbiamo scelto di proiettare Promesse perché crediamo che, a oltre vent’anni dalla sua uscita, questo documentario abbia ancora moltissimo da dirci. Anzi, forse oggi più che nel 2001.
Viviamo un tempo in cui la violenza in Medio Oriente è riesplosa con brutalità; in cui la narrazione pubblica tende a semplificare, a polarizzare, a ridurre la complessità a uno schema binario di buoni e cattivi. In questo contesto, Promesse ci costringe – con delicatezza e potenza insieme – a rimettere al centro ciò che troppo spesso dimentichiamo: l’umanità concreta delle persone, e soprattutto dei bambini, le prime vittime di ogni conflitto, i soggetti più vulnerabili e al tempo stesso più sinceri.


I bambini di Promesse non sono testimoni passivi: sono portatori di discorsi, idee, paure, sogni, ereditati dagli adulti e dal contesto in cui crescono. Parlano con parole dure, spesso intrise di odio, ma sempre con quella spontaneità che rivela quanto quelle parole siano state apprese, e non elaborate. Eppure, proprio per questo, ci mostrano quanto fragile – e quindi anche trasformabile – sia l’identità costruita sulla paura dell’altro.
Proiettare questo film oggi, nel 2025, è un atto politico. È un invito alla complessità, al dialogo, alla possibilità. Non c’è retorica, non c’è didattica. C’è solo la realtà, nuda, nella sua forma più autentica: lo sguardo di un bambino.
Nel film vediamo quanto siano vicini questi bambini – pochi minuti d’auto li separano – eppure quanto vivano in universi paralleli. Ma basta un gesto, un incontro, una foto, per aprire una breccia. Quando Faraj, il ragazzino palestinese, decide di incontrare i gemelli israeliani Yarko e Daniel, il documentario si trasforma: da testimonianza diventa profezia possibile. E nel momento in cui Faraj si prepara davanti allo specchio per ricevere i suoi nuovi amici, ci rendiamo conto che la pace, nel suo significato più profondo, può iniziare lì: in un gesto di cura, in una camicia stirata per bene.
Oggi, come allora, ci troviamo a dover scegliere: vogliamo restare imprigionati nelle logiche del nemico e dell’esclusione? O vogliamo aprire spazi, anche minimi, per ricostruire un immaginario di convivenza? Promesse non ci dà risposte facili. Non ci offre lieto fine. Ma ci lascia una domanda: possiamo ancora sperare? E ci lascia una responsabilità: possiamo ancora scegliere.
Per questo motivo, come Circolo PD Togliatti Subaugusta, abbiamo ritenuto importante condividere questa visione collettiva. Perché la cultura, quando è autentica, non consola: interroga. E la politica, quando è davvero tale, non si limita ad amministrare l’esistente: cambia la prospettiva, apre visioni, coltiva l’umano.

Che questo film sia per tutti noi un momento di riflessione, ma anche un seme di consapevolezza. Perché l’infanzia non è un luogo da cui fuggire, ma un orizzonte da proteggere. Perché la pace non è un’utopia: è una responsabilità condivisa.


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